Tra di noi: CANTA CHE LA COMUNITÀ CRESCE!

di don Piero

Nella missione di Nguviu, i primi anni furono per noi pieni di esperienze impreviste, ma arricchenti e illuminanti per arrivare alla gente e non ripetere solo quanto eravamo abituati a fare. Viste le distanze e la difficoltà di muoversi nel periodo delle piogge, ci eravamo divisi la zona in tre aree considerato che Nguviu era geograficamente spostato, così sarebbe stato più facile seguire ad esempio i catecumeni, allora tantissimi, e prepararli al Battesimo. Era importante conoscerli, preparare eventualmente il matrimonio religioso, risolvere questioni quando qualcuno aveva più mogli. Due zone avevano la chiesa, la mia solo una dozzina di cappelle sparse sulle colline. Regolarmente visitavamo le cappelle in genere al mattino, celebrando la Messa e fermandoci alle lezioni di catechismo condotte dal catechista della cappella. Era un vero impegno a causa delle strade sempre mal ridotte. Qualche volta raggiungevo quella più vicina alla foresta, perché nonostante fosse in terra battuta era spaziosa e aveva due vani dietro. Così, dopo aver bene controllato ogni angolo, non si sa mai con animali piccoli e grandi, passavo la notte sperando non piovesse perché le lamiere del tetto non avrebbero attutito il rumore.
Una mattina ero là pronto. Arrivò presto anche il catechista e guidò le preghiere. Iniziammo la Messa, in lingua locale, ma i canti erano quei pochi introdotti dai primi missionari, i nostri canti tradotti in kikuyu e niente strumenti. Alla Comunione il catechista stava vicino a controllare chi veniva alla comunione. Appena terminato un canto lui intonò: La santa Caterina…  Dalla sorpresa rimasi bloccato e uno stava a bocca aperta ad aspettare la Comunione.
A casa ci scambiammo subito impressioni, idee, su come affrontare anche questo problema del canto per coinvolgere di più i nostri cristiani nelle celebrazioni. Sapevamo della Missa Luba congolese, ma il testo era sempre il latino. Uno di noi sbottò: Non vi ricordate cosa si è fatto nel teatro Silvio Pellico anni fa?
Dopo il Concilio, gli anni del 68 anche da noi sono stati difficili e hanno visto un vero cambiamento della vita liturgica. In molte nostre parrocchie sorsero cori o gruppi e ognuno con proposte differenti, con qualche difficoltà nei rapporti con i cori ufficiali.
Alcuni sacerdoti mi chiesero la situazione del teatro Silvio Pellico, ultimato da poco, per organizzare un incontro di nuovi cori e conoscere quanto stava andando avanti.
Le discussioni che seguirono — con don Bruno, don Dario, mons. Ravignani, che accolsero la proposta che si rivelò un successo — furono personalmente di grande aiuto per capire come vivere in comunità, curare il dialogo. Capii che c’era altra strada che corrispondere e donarsi: bisognava servire le comunità cristiane anzitutto con l’esempio di unità rispettando le diversità.
Il decanato locale era lontano dalla diocesi, Meru, aveva solo sette parrocchie. Un sacerdote locale con varie responsabilità in loco per la diocesi, accettò felice di essere il responsabile di una domenica speciale da noi. Dopo la Messa iniziò lo show di cori che proponevano canti in lingua locale e ritmi locali.
Da quel momento nessuno poté fermarli, in breve tempo le parrocchie videro un risveglio di attività. Per esempio prepararono il canto del Credo su un ritmo loro, usato anche al tempo dei Mau Mau. Nessuno poteva stare seduto, era coinvolgente. Anche i gruppetti di vecchiette che dopo la Messa usavano assieme farsi la sniffata di tabacco,  le si vedeva spesso danzare e ridere.